L'ultimo saluto a Renato Ascari Raccagni/La cerimonia del 12 settembre a Forlì

La vita di un combattente silenzioso ma tenace

di Francesco Nucara

Il 12 settembre siamo stati a Forlì per porgere l'ultimo saluto a Renato Ascari Raccagni. Ascari, come comunemente lo chiamavano i repubblicani, era un uomo di stampo antico. Non si faceva mai cogliere dall'ira o dalle recriminazioni sui torti che come tanti tantissimi altri aveva subito dal gruppo dirigente del Partito. Qualche tempo fa lo incontrai ad un pranzo di repubblicani presso la sezione Mazzini di Forlì. Tutto il tempo, più che a pranzare, lo utilizzammo per parlare della condizione del partito repubblicano.

Egli mi invitò a proseguire sulla strada che avevo intrapreso come segretario del PRI perché, a suo dire, era l'unico modo per tenere accesa una piccola lampadina sulla foglia d'Edera che aveva intriso di ideali la nostra gioventù e che continuava ad essere il simbolo delle nostre tante battaglie repubblicane.

Ascari era un uomo mite e silenzioso. Silenzioso ma non silente. Quando gli si comunicò la decisione del partito che il presidente dell'AGCI doveva essere altri e non lui, non batté ciglio. Pur tuttavia i cooperatori elessero lui ai vertici dell'Associazione che aveva rappresentato per molti aspetti la ragione di una vita tesa a seminare gli ideali mazziniani dovunque potesse.

Un uomo quindi silenzioso e mite ma molto, molto tenace. Una tenacia che nessuno poteva confondere con la cocciutaggine o peggio con la testardaggine.

Eravamo nel '77, ma anche successivamente, quando da qualche anno era presidente della Cassa di Risparmio di Forlì e gli fu consigliato di dimettersi (consiglio che per la verità fu dato a lui come a tanti altri rappresentanti repubblicani nel mondo bancario), egli assunse un atteggiamento di difesa dell'autonomia degli organismi locali che a quell'incarico lo avevano proposto e poi nominato.

Anche in questa occasione la sua tenacia ebbe ragione su indicazioni sbagliate.

Ascari sembrava defilato dalla vita di partito. Non era così. Egli del PRI forlivese sapeva tutto, tanto che in occasione di una delle tante diatribe interne al partito mi telefonò consigliandomi una soluzione. Consiglio che accettai adoperandomi affinchè la soluzione che lui mi aveva proposto andasse a buon fine. Cosa che avvenne. Con il garbo che lo distingueva mi telefonò per ringraziarmi.

Renato se n'è andato in punta di piedi, potremmo dire in silenzio, così come era vissuto. Una cerimonia semplice alla presenza dei suoi amici repubblicani con le bandiere rosse dell'Edera che lo avevano accompagnato per tutta la vita e lo hanno assistito anche nel momento in cui lui non poteva più vederle. Eppure quest'uomo dal tratto elegante, tanto riservato nei suoi sentimenti personali e politici, che era stato deputato per due legislature ('72 e '76), presidente dell'AGCI, presidente della Cassa di Risparmio, avrebbe potuto ricevere più onori nell'ultimo addio. Ma forse sono stati più gratificanti gli onori che gli sono stati attribuiti in vita da quanti lo avevano conosciuto, stimato e apprezzato.

Le lacrime di Riccardo Rosati quando il feretro si è fermato davanti al Circolo Mazzini, il "suo" circolo, sono la prova evidente dell'amore repubblicano per Renato.

Questo era Renato Ascari Raccagni, con i suoi valori antichi intrisi di modernità nella gestione della cosa pubblica. Uno di quegli uomini che non hanno bisogno di strillare, di offendere, di denigrare, di tradire ideali per far valere le proprie ragioni. Un combattente silenzioso ma tenace, dai valori solidi, non effimeri come si usa di questi tempi. Con grande rispetto pensiamo alle idee che hanno guidato la vita politica di Renato ricordando la sintesi del pensiero politico di Demostene, il grande oratore Ateniese: "Non le sorti di una battaglia importano; ma l'animo, la volontà, la fede. L'animo di essere liberi, la volontà di lavorare, la fede nella tradizione, in se stessi, nella giustizia infallibile della storia. E non disperare, mai. Non tradire, mai".